INTROBIO – itinerario2017-08-30T15:17:44+00:00

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VALBIANDINO

la via del bitto

State per incamminarvi lungo un itinerario che ha una storia millenaria e che ha svolto per secoli un ruolo molto importante nel collegamento tra il mondo latino e quello retico-germanico mettendo in comunicazione la Valtellina con il ramo lecchese del Lago di Como e da qui con la pianura e Milano. I romani chiamarono questa direttrice “Via gentium” . la “Via delle Genti” Partiamo da Introbio.

CASCATA DELLA TROGGIA

Nel corso degli ultimi anni a Leonardo da Vinci è stato attribuito di tutto e di più (avrebbe dovuto vivere mille anni per andare in tutti i luoghi dove si racconta che sia stato..), ma ad Introbio c’è stato davvero ed è rimasto così colpito dalla cascata della Troggia da descriverla nel Codice Atlantico” In Valsassina, infra Vimognie e Introbbio, a man destra, entrando per via di Lecco, si trova la Trosa, fiume che cade da uno sasso altissimo, e cadendo entra sotto terra, e lì finisce il fiume. (Leonardo da Vinci, 1495. Codice Atlantico).

Come lui molti altri furono colpiti dalla cascata, tra loro l’Abate Antonio Stoppani, l’autore del Bel Paese che arrivò ad invitare le autorità del luogo a fare come gli svizzeri che avrebbero sfruttato turisticamente una simile bellezza.

Da Introbio saliremo a Biandino e al lago di Sasso e agli alpeggi che vengono caricati anche ai nostri giorni ripercorrendo ad ogni estate un tratto della “via del Bitto” che collega Introbio con la Val Gerola attraverso la Bocchetta di Trona. Troverete nella conca di Biandino rifugi in cui vi sarà possibile rifocillarvi e dormire. Sarà un percorso lungo e ricco di luoghi significativi, per questo vi consigliamo di tenervi liberi per un fine settimana, da fine maggio ad ottobre. L’escursione è invece fattibile in giornata utilizzando il servizio di trasporto con la Jeep che va richiesto ai rifugi che vi abbiamo segnalato.

PARCHEGGIO CARROBBIO

Una volta arrivati ad Introbio avrete diverse possibilità di parcheggiare l’auto, ma potreste anche essere arrivati con il bus di linea da Lecco. Se volete attraversare il paese ed ammirare la Torre Pretoria di origini medievali, ma poi ricostruita in epoca rinascimentale( e che la tradizione vuole infestata da folletti…) allora dovrete avere come riferimento la Chiesa Parrocchiale e la stazione dei Carabinieri. Se invece volete evitare un po’ di salita cercate i cartelli, dalla strada provinciale vi condurranno alla sbarra che segna l’inizio del cammino e parcheggiate lungo la strada. Da qui in avanti dovrete più volte passare dalla strada con il fondo sterrato o cementato, a tratti dell’antica via del Bitto, spesso pavimentata a ciottoli a sentieri nel bosco che accorciano il percorso. Cartelli e scritte indicano però sempre con chiarezza Biandino o Rifugio Tavecchia o rifugio Valbiandino, ex bocca di Biandino. Sono anche numerosi e ben visibili i segnavia bianchi e rossi con la scritta VB che sta ad indicare che siete sull’antica “Via del Bitto.”

FONTE SAN CARLO

Arrivati al primo ponte troverete segnalazioni che indicano un sentiero che vi permetterà di accorciare il percorso, ritornati sulla mulattiera troverete una fonte detta di San Carlo perché la tradizione vuole che il santo arcivescovo milanese, impegnato in una delle sue numerosissime visite pastorali, abbia fatto il miracolo di far scaturire l’acqua dalla roccia.

LA BAITA

Siete a quota 1059 metri di altitudine e vi aspetta ancora poco più di un’ora di salita che volerà via perché potrete fermarvi per una breve sosta presso l’agriturismo “La Baita” di Melesi Marzia dove, immersi nel verde della Val Troggia, potrete gustare piatti tradizionali e formaggi prodotti con il latte della settantina di capre orobiche che pascolano libere sia in primavera che nelle stagioni estive ed autunnali.

E’ ora di ripartire. L’agriturismo è posto proprio sul sentiero che vi porterà in un oretta alla Bocca di Biandino a quota 1490 metri, con passaggi tra boschi e rocce e vista sul torrente Troggia. Poco prima di affacciarvi nella verde conca di Biandino troverete un cippo che ricorda il passaggio della 55° brigata partigiana intitolata ai Fratelli Rosselli che compì una memorabile traversata sulle montagne fino a raggiungere la svizzera nel 1944.

0341982005
3475212186

BOCCA DI BIANDINO

Quando vi affaccerete per la prima volta alla Bocca di Biandino non potrete fare a meno di emozionarvi. Siete appena usciti da una valle bella , ma stretta tra i due versanti delle montagne e, all’improvviso, si spalanca davanti a voi un‘ampia prateria chiusa in fondo dal Pizzo dei Tre Signori che ,visto questa prospettiva, mostra tutta la sua maestosità. E’ il verde il colore dominante, e si mostra in molte delle sue gradazioni, interrotto dal colore delle mucche e delle capre orobiche al pascolo libere nei prati degli alpeggi. Il rumore dei campanacci si sente da lontano e aumenta man mano vi avvicinate e portandovi fuori dal tempo.

A custodire l’ingresso della conca di Biandino trovate , uno a destra e l’altro a sinistra, i rifugi Tavecchia e Val Biandino (ex Bocca di Biandino); alla vostra destra è indicato il sentiero che porta al rifugio Grassi al Camisolo che percorreremo al ritorno del nostro cammino.

Davanti a voi si vedono a sinistra gli alpeggi e di fronte, poco distante, la chiesa della Madonna della Neve che raggiungeremo tra poco lungo il sentiero che vi porterà al Lago di Sasso. In alto sulla sinistra c’è il rifugio Santa Rita. La via del Bitto passa di lì per raggiungere la Bocchetta di Trona, passaggio storico verso la Valtellina e la Bergamasca.

RIFUGIO TAVECCHIA
gestito dalla famiglia Buzzoni di Introbio

340 5012449
info@rifugiotavecchia.it
http://www.rifugiotavecchia.it/

RIFUGIO VALBIANDINO
gestito da Moira Brini

0341 981050
347 5433383
rifugiovalbiandino@gmail.com
https://valbiandino.jimdo.com

BAITE ALPE BIANDINO

Da centinaia di anni, all’inizio dell’estate, gli allevatori della Valsassina hanno percorso il cammino che vi ha portato fin qui. Quest’alpeggio, a memoria d’uomo è caricato dalla famiglia Platti di Pasturo e dai suoi eredi.

I Platti discendono da una famiglia di bergamini, chi sono i bergamini?

Per secoli gli abitanti della fascia prealpina sopravvivevano a fatica con una o due mucche negli angusti spazi delle costruzioni di pietra ma, alcuni tra loro, forse più intraprendenti e coraggiosi, cominciarono ad allargare le mandrie fino a venti e più capi. Divenne così necessaria la pratica della transumanza e per secoli i “bergamì”, contraddistinti dal grembiale di tela azzurra da casaro chiamato “scussaar”, dal cappello rotondo di feltro scuro e dal nero tabarro di lana, generalmente dopo la festività di San Michele lasciavano gli alpeggi per scendere in pianura.

Si formava una carovana di carri con famigliari e vettovaglie  e i bergamini guidavano le mandrie verso la bassa milanese, cremonese o lodigiana dove affittatavano terreni e alloggi dai fittavoli locali(ben contenti di avere i prati concimati!) per passare l’inverno ed essere pronti, a fine aprile a ripartire per gli alpeggi. Il viaggio copriva distanze dai cinquanta ai centocinquanta chilometri e poteva durare più di una settimana e spesso la sosta per abbeverarsi avveniva nella fontana della piazza principale del paese con i contadini locali pronti a raccogliere gli escrementi delle mucche per utilizzarli come concime. Si pensa che agli inizi del’900 la transumanza coinvolgesse fino a venticinquemila vacche organizzate in sette-ottocento mandrie e accompagnate da sei/settemila persone. Da molti di questi bergamini derivano gran parte delle famiglie che hanno dato origine alla grande industria casearia di pianura. E’ durante questi viaggi che nacque lo “stracchino” prodotto con il latte delle mucche “stracche”, cioè stanche dalle fatiche del viaggio. I formaggi erano un modo per conservare il latte che doveva essere munto durante la transumanza e lo stracchino prevedeva l’inizio della coagulazione subito dopo la mungitura aggiungendo immediatamente il caglio al latte ancora caldo del calore corporeo della vacca e quindi senza la necessità di scaldarlo al fuoco.

Anche le vacche che state vedendo al pascolo nella conca di Biandino, compiono ogni anno una “piccola transumanza”, partendo da Pasturo all’alba con le vacche più anziane che accelerano il passo, felici di tornare all’alpeggio. Seguiranno i mesi di alpeggio con il quasi sacro rituale che si ripete sempre uguale, ma sempre diverso come ogni volta che si ha a che fare con qualcosa di vivo. Alla fine della lavorazione verrà messo a stagionare uno “Stracchin quadro della Valsassina”, un parallelepido di 20 centimetri, alto quattro del peso di 1500 grammi circa, la pasta sarà liquefatta sotto la crosta e più gessata nel cuore della forma. Il colore sarà bianco all’esterno nei primi giorni per andar via assumendo il tipico color rossastro con venature di altri colori. All’interno la pasta si presenterà con il suo caratteristico color giallo paglierino. Buon appetito!

Con un po’ di fortuna potrete assistere a questa lavorazione e soprattutto assaggiarne il risultato nelle malghe che vedete nella conca di Biandino e nelle malghe vicine al lago di Sasso.

L’alpeggio è utilizzato da 3 aziende agricole che producono il tradizionale stracchino quadro ed il grasso d’alpe:

Platti Carlo – Pasturo
Pomoni Noemi – Primaluna
Doniselli Antonella – Pasturo

0341 955403 (Antonella Doniselli)
348 9815599 (Antonella Doniselli)

SANTUARIO E RIFUGIO MADONNA DELLA NEVE

Ma siamo già arrivati alla Chiesetta della Madonna della Neve edificata nel 1664 dalla famiglia Annovazzi per permettere di assistere alle funzioni religiose agli alpeggiatori e ai minatori che popolavano la vallata. Il santuario divenne poi di primaria importanza quando la comunità di Introbio si salvò da un’epidemia di colera che aveva decimato i paesi vicini. Correva l’anno 1836 e da allora ogni anno, il 5 agosto, gli abitanti di Intobio salgono in processione fino alla chiesa per ringraziare la Madonna che li aveva protetti dall’epidemia. L’attuale edificio è il risultato della ricostruzione del 1947 dopo che, come tutti gli altri edifici in quota, era stato distrutto dai nazi-fascisti, per impedire ai partigiani di avere dei ricoveri per l’inverno.

LAGO DI SASSO

Superate le baite dell’alpe di Sasso siete arrivati al lago di Sasso. Qui smettiamo di parlare delle vicende umane e cominciamo a guardare le meraviglie naturali che ci circondano. Il lago è veramente una perla incastonata tra le rocce e cambia colore ad ogni istante. E’ vigilato dalle marmotte che segnaleranno la vostra presenza con acutissimi fischi. Camosci e stambecchi sono di casa e le aquile vigilano dall’alto.

Dal Lago di Sasso un sentierino alla vostra destra vi condurrà a ricongiungervi con il “sentiero del Cardinale”, che proviene dalla Bocchetta di Piazzocco e prosegue fino a Pian delle Parole verso il rifugio Grassi.

I nomi sono sempre interessanti. In questo caso si chiama sentiero del Cardinale perché la mattina del 20 agosto 1913, il Cardinal Andrea Carlo Ferrari, vescovo di Como e poi arcivescovo di Milano, venne sorpreso da un tremendo temporale e si riparò in una grotta dove, a ricordo di quel giorno, venne lasciata una targa ricordo.

Il sentiero sbuca sul Pian delle Parole, perché si chiami così è controverso, però Antonio Bellati, grande storico premanese, scrisse che “parol” in dialetto indicava il paiolo in rame in cui i bergamini facevano il formaggio in alpeggio. Al di là dell’etimologia resta il fatto che Pian delle Parole è uno dei luoghi più suggestivi della Dorsale Orobica Lecchese. Appena arrivati sulla prateria avrete il Pizzo dei Tre Signori alla vostra sinistra, alle vostre spalle le alte vette alpine e di fronte a voi, in direzione del rifugio Grassi, vasti pascoli verdissimi ad oltre duemila metri di quota.

RIFUGIO GRASSI

Proseguite verso la Grassi, si tratta di una breve passeggiata in leggera discesa con ampi paesaggi sia verso la Valsassina che verso la Bergamasca. Al rifugio “Alberto Grassi”, fondato dalla Società Escursionisti Lecchesi (S.E.L.) il 31 luglio del 1921 in memoria degli alpinisti, conviene proprio sostare. Si trova a duemila metri di altitudine e si affaccia come un balcone sui monti della Val Brembana. E’ raggiungibile anche dai Piani di Bobbio e da Valtorta.

348 8522784 – Anna Bortoletto,
339 4931340 – Amos
331 5697849 – Rifugio
info@rifugiograssi.it
http://www.rifugiograssi.it/it/

ALPE CAMISOLO

L’alpeggio del Camisolo su cui sorge il rifugio ha una lunga e ricca storia sia mineraria che di pastorizia. Ancora oggi viene prodotto un buonissimo “Formai de Mut”ad opera dei casari di Valtorta.

MINIERE CAMISOLO

L’attività mineraria è invece cessata, dopo esser proseguita, a fasi alterne per secoli. Le prime testimonianze scritte parlano di “coltivazioni” (viene usato questo termine che deriva dalla credenza in voga fino all’800 che il minerale ricrescesse come un vegetale e che bastasse chiudere una miniera per farla rigenerare) di miniere di piombo argentifero fin dal 1297.

Intorno alla meta del 1800 vi fu la crisi dell’estrazione del ferro, legato ai nuovi mercati e alla difficoltà nel reperire combustibile per la fusione. Tutto sembrò rianimarsi nel 1862 con la nascita in Bergamo della società denominata “La Virginia” che acquistò una quarantina di miniere in Valsassina e ricominciò l’estrazione di Galena argentifera, da cui estrarre piombo ed argento, l’attività estrattiva proseguì con la “The Camisolo Mines Limited” con sede a Glasgw. Vennero poi scoperti filoni di barite, e, negli anni trenta,il fascismo, costretto dalle sanzioni internazionali ad una politica mineraria autarchica cercò invano di rilanciare le miniere valsassinesi che però erano ormai poco competitive. L’ultimo tentativo fu con la concessione di Tomaso Invernizzi che cerco di riavvare la produzione di piombo, ma i mercati ormai globalizzati e la sostituzione dei tubi in piombo con la più salubre plastica fece abbandonare anche quest’ultimo tentativo.

ALPE FOPPABONA

Non vi resta che consolarvi con il formaggio: se ne avete voglia a trenta minuti dalla Grassi potrete visitare l’azienda agricola di Magni Enrico che ha preso in concessione un alpeggio nella Foresta Regionale di Foppabona dell’Ente Regionale Servizi Agricoltura-Foreste (ERSAF) e gustarvi ottimi formaggi di latte vaccino e caprino.


BAITE DI COBBIO

CASA ALPINA PIO X

E’ proprio ora di tornare: dalla Grassi prendete il sentiero che vi riporterà alla Bocca di Biandino e da lì alla vostra auto, ma prima di terminare questo ricco e lungo cammino bisogna ricordare che il 27 agosto 2017, la casa oratorio Pio X di proprietà della Parrocchia San Nicolò di Lecco, che incontrerete sul cammino dalla Grassi a Biandino, compie 120 anni, ma non li dimostra affatto sempre pronta com’è ad ospitare ragazzi e comunità per esperienze irripetibili.

Probabilmente nell’ultimo tratto di cammino avrete avvistato qualche stambecco, frequentissimi nella zona dopo essere stati reintrodotti a partire dal 1987. Siete arrivati alla Bocca di Biandino, da qui potrete ripetere la strada percorsa in salita, oppure usufruire del trasporto delle jeep dei rifugi.